Tutorial: come si dice ciao

Praticamente è da diverso tempo che mi frulla per la testa di scrivere un libro. Si dice che in Italia metà persone leggono e metà scrivono. Dato che non tutti vincono lo strega immagino che in molti, quasi la totalità, scrivano merdate disumane. Però dato che finché uno non ci si prova non lo può sapere, ho deciso pure io di saltare il fosso e passare al lato oscuro della letteratura.
"E' un anno di cambiamento" mi son detto e allora mi sono armato di carta e penna e l'ho subito messi nel cassetto. Poi ho acceso il computer e mi sono messo un po' a scrivere quelle idee strane che mi frullano per la testa. Diciamo che cazzate da dire ne ho, sicché al momento il blocco dello scrittore insieme al gomito del tennista non si sono presentati alla cassa a chiedere il guiderdone.
Il problema principale è che scrivere un libro ed un blog sono due cose un pelino faticose, nel senso che se devi creare dal nulla pagine su pagine che abbiano senso non puoi nemmeno stare in qua e in la a seminare roba perché comunque è distrazione dal processo creativo principale. M'è saltato in mente insomma di abbandonare per un po' il blog, di prendere un sabbatico creativo.
Solo che non è carino prendere e sparire. La gente ci rimane male. Bisogna trovare un modo per dire "Ciao".
E qui subentra il tutorial, la nuova passione che prende piede tra i gggggiovani e che mi ha visto novello padre eterno che allunga il dito ad una caterva di adami in adamitico costume.
Mi sono messo lì a pensare a come fare un tutorial, a come spiegare ai chiorboni l'essenza stessa del saluto. Insomma un saluto epocale, roba di sospensione. Un saluto semplice che faccia compagnia per tanto tempo, che non faccia sentire la mancanza perché è il saluto stesso che supplisce all'assenza.
Mi sono messo a pensare insomma ai saluti importanti, quelli che ho fatto e quelli che mi mancano. E come sempre quelli che mancano sono quelli che ti fregano. Un po' come la farina quando devi fare la torta: se non c'è è un casino.

Ogni saluto che manca all'appello ha sempre una storia.

Questa inizia la sera del 21 gennaio del 2010.
Era un giovedì, ero al River Pub non per la cover band dei Guns (gli illusion qualcosa) ma perché lo Svizzero, che chi sa che fine ha fatto, doveva presentare la sua ragazza a noi Stravolti. Ci s'era mi pare tutti: Boga, Melani, Chiara, Fabio. Marchino. Oltre ovviamente allo Svizzero e signora. Sinceramente ero abbastanza stanco, era la mia settimana con la sveglia alle 5 e già alle 23 ero praticamente cotto. Il giorno avevo dormito zero ed ero proprio proprio arrivato al capolinea. Fatto sta che per evitare un incidente diplomatico cercavo comunque di tenere botta sorseggiando piano la birra media che m'aveva preso il Boga.
Insomma tutto nella norma, la classica mia serata di sonno atavico a prescindere dai contesti. Il gruppo nel frattempo inizia a suonare (e come tutte le tribute inizia con welcome to the jungle), volume del cazzo e suoni brutti. Ovviamente in Italia essendoci zero cultura musicale manco ci si fa caso, ma se uno un minimo ci sta dietro sente proprio la peggio monnezza che ti sputtana i timpani. Insomma fatto sta che nonostante sto macello si sta li a chiacchiera, io sempre più spento ovviamente.
Mi trema la tasca, il telefono che vibra. Una chiamata. Patrizio, il marito della mia cugina Barbara. Con tutto il macello sonoro capisco solo "Franco.... sentito male.... ospedale". Siccome lavoro alla Pubblica penso che Patrizio voglia che mi informi un po' in pronto soccorso delle condizioni di Franco, Franco il compagno della su mamma che ha diversi acciacchi e ci sta che gli abbia dato noia qualcosa. Quindi saluto i ragazzi e penso di andare direttamente in pronto a informarmi sulla salute di Franco e contestualmente di salutare le ragazze del turno. Esco, monto in macchina e da Quarrata via Covona mi dirigo verso Prato.
Non faccio nemmeno 300 metri e Patrizio mi richiama e mi dice che c'è sempre l'ambulanza ferma al circolo e lui è a casa con la Matilde. La figlia.
E lì casca il mondo. Perché realizzo che non è Franco il-compagno-di ma è Franco Barontini, il mi zio che come tutte le sere se n'era andato al circolo a Mazzone a fare la partita a carte. 
Non so quanto mi c'è voluto, ma è stato veramente poco, quella cazzo di Agila l'ho fatta decollare. Non mi ricordo nemmeno la strada, se ho bucato rossi o stop. Mi ricordo solo che esco dalla bretella, prendo via Pistoiese e vedo due ambulanze davanti al circolo: una bls della Croce d'Oro di Bagnolo e la medicalizzata della Pubblica, la P13 Iveco che di li a 4 mesi avrei avuto poi in gestione io.
Mi sono sentito sollevato, ho pensato:"Ci sono i miei". Tempi di intervento ristretti, tutte le regole del soccorso tempestivo a favore. Poi però mentre correvo dentro il circolo m'è tornato in mente un dettaglio: la P13 quella mattina l'avevo riguardata io per mandarla su a Comeana dato che la P2 era a far riparare. Se prendete google map e fissate Piazza Battisti Carmignano come punto A e poi come punto B mettete via Pistoiese 773 Prato, circolo la Pace vi rendete conto che le distanze non sono poi così minime anzi, sono enormi.
Fatto è che come entro trovo la zia e la Barbara che piangono nell'antisala del gioco di carte. Fatto è che come entro nella sala vedo Paolo Nistri, Guido Poggi una ragazza x e il Dottor Cecere che fanno la rianimazione al mi zio, sdraiato in terra, intubato. La squadra della CdO che rimette via il DAE, riprende le sue cose e se ne va.
Il problema però sta lì, perché quello è il mio lavoro. 
Mi tolgo il giubbotto, mi metto i guanti di lattice e massaggio.
Non massaggio Franco. Massaggio. Punto.
Massaggio.
Massaggio.
Massaggio.
Una costola fa croc.
Massaggio.
Tutti via chiudi l'ossigeno, scarica.
Fermo per vedere se c'è circolo.
Riprendere massaggio.
Massaggio.
Massaggio.
Massaggio.
Altra adrenalina.
Massaggio.
Massaggio.
Massaggio.
Massaggio.

Senti, non c'è segnali, io direi che si può smettere. Che lo conoscevi te?
E i' mi zio, Dottore
Ah... mi spiace... però guarda, è tutto piatto. non ha senso andare avanti. che posso parlare con qualcuno dei familiari?

E' morto E' morto Franco no, perché Franco perché Franco Francoooooooooo Franco rispondi Francoo, Franchino no e ora come fo, Franco non me lo fare.

Mi ricordo solo che prendo la siringa per scuffiare, per togliere l'aria dal palloncino dal tubo, aspiro via l'aria, sfilo il tubo tenendo la testa distesa, prendo le garze non sterili dalla pochette dello zaino dei farmaci e tolgo la saliva che scappa via dai lati della bocca, le labbra viola scure scure e il neo e io che stropiccio forte queste labbra per vedere di togliere un filo delle garze che m'è rimasto lì queste labbra che non riconosco, quegli occhi fissi che non conosco che se ne stanno aperti la testa che pesa. mi appoggio al muro con la schiena facendo attenzione e non toccare con i piedi niente nemmeno le mattonelle, prendo aria e alzo la testa

la zia piange e chiama franco. la barbara chiama babbo. c'è thomas con la katiuscia e niccolò che ha 2 mesi nell'ovetto e piangono, il bambino dorme. la mamma piange e abbraccia la zia, la su sorella. quante volte ho visto queste scene... piangono tutti, sono tutti disperati allora si approfitta per rimettere tutto a posto zitti zitti e predisporre la rimozione salma... poi vedo il mi babbo che piange. e io il mi babbo che piange non l'ho mai visto. e allora capisco che s'è fermato il mondo. che s'è incrinato il mondo. che morto morto morto significa questo. allora mi risiedo, incrocio le gambe e mi ci metto la testa dello zio sopra e l'accarezzo che a pulirlo prima con le garze forse gli ho fatto male, le orecchie grandi di un omone grande, le sue mani enormi distese accanto al corpo. e mentre intorno a me alla zitta la squadra ne approfitta per rimettere a posto e rientrare in sede anzi sezione, io continuo a tenere lo zio, gli chiudo la camicia e lo tengo lì che non scappi. e non si piange porcamadonna, non si piange perché non è momento adesso. c'è da fare.

arriva Giorgio con il furgone dell'impresa. la zia è stata a prendere i vestiti. si va in sede con il siluro. c'è Pietro di notte. gli chiedo se può fare lui le 7 che io a lavoro non vado oggi. mi ride Pietro, vuol dire no problem. gli voglio bene anche per questo. io e Giorgio ci si mette a vestire il mi zio. s'era stati al mare insieme tante volte ma non l'avevo mai visto tutto nudo. si spoglia, si pulisce, si cerottano i buchi per gli accessi venosi, si leva una cannula rimasta. si mettono le mutande. la maglia della salute (quale?). Giorgio mi chiede se so chi è il curante per l'istat, se so che malattie ha. boh, è sempre stato sano sanissimo, fa l'orto, va in bici e nel frattempo si sono messi i calzini, la camicia fatta passare dietro la testa, poi i pantaloni con la cintura la giacca le scarpe no che si macchia l'imbottitura della cassa a metterlo dentro. s'espone in casa o nelle cappelle? la zia dice a casa che lo zio voleva così. ma in casa le morti improvvise meglio di no che poi se butta è un casino. ci sto io Giorgio al limite metto il coperchio e chiamo il reperibile. ci vuole una cassa da due metri perché quelle regolari non bastano. non c'è problema Giorgio ma fagliela scegliere alla mi zia e alla mi cugina, non vorrei passare avanti a nessuno. che scherzo che ha fatto, chi se l'aspettava. stava proprio bene. tu vedrai ha fatto la rottura di cuore, gliè già venuta la mantellina guarda, non ci fai nulla quando capita.

è davvero tardi ora. domani mattina si porta a casa e si espone con il catafalco. dice che giocava a carte, l'hanno detto alla mi zia quando sono andati a chiamarla con la scusa del non s'è sentito bene. dice giocava a carte, ha fatto un verso strano e poi nulla, gli è andata giù la mano. aveva il dito alla bocca di traverso come a mordicchiarlo e poi giù. pensavano si fosse addormentato. il mi zio andava sempre a pisolare al circolo, stava a giocare ma più che altro pisolava. pensavano dormisse e invece non rispondeva l'hanno messo in terra con le gambe alzate ma niente. quello del bancone del bar manco ha smesso di fare i caffé.

Il venerdì e il sabato sono stati difficili. Il viavai continuo di gente. Tutta gente che sinceramente io non conoscevo tranne i parenti che si vedono nelle ricorrenze. E poi il piangere che arriva da dentro e ti salta fuori dagli occhi senza nemmeno fare in tempo a prendere un fazzoletto, solo il tempo di reggersi a qualcosa o qualcuno. E chiedersi quanta di questa gente era li in processione perché il morto fa curiosità e quanti perché il Barontini è il Barontini. Perché i mi zio l'ho sempre chiamato Barontini. 
Arriva il sabato pomeriggio, arriva il Lai e Carlino il Barni. Si chiude la cassa. Non si rivedrà mai più. Quello ti spiazza. Davvero non c'è più da adesso in poi. La cerimonia nella pieve di S. Ippolito o meglio nella sala temporanea perché ci sono i restauri. Poi il trasporto a mano, l'ultima volta che senti il peso. Poi la fossa, la buca che si riempie. Finisce tutto. C'è il sole. E' freddo ma si sta bene. E' pace anche per noi, non c'è più niente da abbadare vegliare proteggere. C'è solo il posto dell'assenza. Dei ricordi. La gente che passa a salutare, la stanza dedicata a lui lì alla pieve per i servizi resi alla comunità di Sant' Ippolito. Il Vescovo che fa la messa ad un mese di distanza perché erano amici e chi lo sapeva. Il Barontini conosceva davvero tutti, l'avesse saputo prima il Vescovo avrebbe fatto anche la messa del sabato 23. C'è rimasto male dice. 
Lui...

Io ci penso tutti i giorni al mi zio. Non c'è momento della giornata che non mi ci corra il pensiero. Il Barontini era un po' brontolone, uno omone di quelli della vecchia generazione, burbero forse ma dal cuore d'oro. Si sarebbe tagliato le gambe per farti contento. Casomai smadonnava un po' (anche se il massimo del suo moccolo e al massimo della sua incazzatura era un cristo morto, cosa che per me è quasi una virgola quando mi partono i miei di rosari) ma poi faceva come volevi perché ti voleva vedere contento. Il mi zio è uno di quelli che veniva dalla terra, tradizione contadina, gente che ha studiato poco e nulla, però con quell'umiltà delle persone semplici che ci provano sempre a capire. Quando a 18 anni avevo i capelli lunghi e a casa mia scuotevano il capo, lui non capiva il perché li avessi lunghi (il grunge non lo ascoltava di sicuro...) ma diceva sempre "lasciatelo fare, è l'artista della famiglia... o la pecora nera", ma me lo diceva sempre mentre rideva e non c'era verso pigliarsela. Aveva quelle mani enorme di chi lavora e tanto, dei diti talmente grossi che quando gli nacque la nipote, la Matilde detta da me culo secco, per scherzare gli si diceva sempre che l'unico modo per cascargli via dalle mani era che gli scivolasse via tra le dita. Il mi zio la mattina entrava a lavoro dopo quando ero in quinta liceo perché sapeva che andavo a scuola a piedi e partivo tardi e allora faceva la strada che facevo io per raccattarmi e darmi un passaggio. E non so quante volte m'ha evitato di entrare alla seconda ora o ha evitato di chiedermi che avessi fatto la sera prima, che spesso ero in delle condizioni da ricovero. Il mi zio era quello che la famiglia, e la famiglia s'era Pastacaldi e Barontini insieme senza differenze, si riunisce alle feste comandate e se non ci sono feste si comandano noi. E che i parenti si passano a trovare. E se non passava al 13:15 quando lavorava da queste parti vuol dire che stava male. C'era sempre, padrino alla cresima, procacciatore di un posto per l'obiezione di coscienza in Misericordia (ma io nipote satanico non potevo accettare, la lasciai come terza opzione solo per l'amore incodizionato che ho per lui), ci portava al mare a fare il bagno a Castiglioncello, progettava una foto con pentolo in una mano per il suo compleanno a giugno che si festeggiava sempre insieme a quello del mi fratello, il mi zio che con il passare degli anni si era un po' lasciato andare anche grazie alla nipote e s'era scoperto un omone buffo e di spirito, che aveva abbandonato i democristiani perché tiravano la carretta a Silvio e votava a sinistra ed era a favore delle coppie di fatto. Il mi zio c'era tutte le volte che c'era da fare lavori di fatica, massicciate di cemento e si incazzava se non gli andavi a prendere la verdura che coltivava lui. E comunque se non andavi te la portava a casa. W la filiera corta. E poi ci sarebbero altri 16 milioni di motivi ma non ve li sto a dire. Sono cose mie, mie di mi zio. Ma la cosa importante è sempre quella, ti voleva vedere contento, non si dava pace se ti vedeva giù.
Una cosa che però ogni tanto salta fuori è quando si affacciava nella cameretta da bimbominkia e guardava la mi schiena perché casomai io o suonavo o spippolavo al computer e poi diceva "oh, io vo" e io a volte manco mi giravo tutto preso dalle mie cazzate e gli facevo un ocheiaddomani trafelato. Contando sempre su un domani per farsi un saluto migliore.

Stamani sono andato a trovarlo al cimitero, la foto in completo scuro in piedi su di un prato forse un matrimonio o un battesimo di altri parenti abbienti. M'è tornato in mente che oltre ad aver padellato in pieno l'unica rianimazione che avrei dato via anima e culo per vederla andare a buon fine, non gli ho nemmeno mai detto ciao a modo. Mi sono messo a sedere lì accanto e ho pianto. Come piango ora. Mi manca tanto, tutti i giorni. E' un vuoto che ingombra. E siccome non sono bravo con i ciao ho pensato che alla fine ho sempre messo una canzone e lo farò anche adesso.



PS: da oggi davvero mi prendo un po' di sabbatico. Non escludo di scrivere qualcosa ogni tanto ma voglio davvero fare l'artista di famiglia.

Commenti

Anonimo ha detto…
solo per dire che è vero: voleva vedere tutti contenti.
con me lo faceva appoggiando una scala al suo fico e dicendomi "vai, sali e mangia tutti quelli che vuoi".
Y.

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